L’ultima volta che ho preso un volo è stato a settembre e mi sembra passata un eternità. Sento la necessità, il bisogno di partire, di andare via, di cambiare aria. E pensare che volare è la cosa che odio di più al mondo! I miei compagni di viaggio possono testimoniare il mio terrore dell’aereo. Passo dalla trepidazione di aver acquistato il volo e quindi al desiderio di partire all’ansia e terrore che possa succedere qualsiasi cosa in aereo. E’ un mix che, però, non mi dispiace! Agitazione di partire e ansia di arrivare. La sensazione più bella è il momento appena dopo l’atterraggio (si, quella dove parte l’applauso per il comandande che ci ha portati sani e salvi a destinazione) quando sai di essere arrivato a destinazione e da quel momento la mente impegnata con i problemi di tutti i giorni si spegni e inizi a vivere il viaggio. Quando si aprono i portelloni e respiri finalmente l’aria del posto in cui sei arrivato, i sensi si attivano dopo tanto tempo passato nella pianura padana grigia e puzzolente. I colori, i palazzi, la lingua diversa tutto è eccitante e stimolante! Si dovrebbe vivere in viaggio, i giorni non sarebbero scanditi da minuti/ore/secondi, un giorno uguale all’altro. Il tempo si misurerebbe in avventure e esperienze vissute, in nuove scoperte. Si vivrebbe solo con la voglia di vedere e scoprire quanto piùpossibile e di ricevere dal mondo tutta l’energia che ti può dare.
La routine ti ammazza lentamente. Ne sono certa. Sveglia tutte le mattine la stessa ora, colazione, bagno, lavoro, pausa pranzo, lavoro, casa, divano, cena, divano, tv, letto. E di nuovo. Le giornate ci scivolano via senza accorgecene, sabbia tra le mani. Sabbia che non si potrà riprendere una volta volata via. Mi viene in mente una frase che sento ripetere spesso dalla parrucchiera ma che mi è sempre rimasta in presso quando magari ero bimba e sentivo da signori più meno anziani “dai 30 anni in poi la vita scorre via che non te ne accorgi nemmeno, un giorno ti svegli e sei vecchio”. Il perchè, forse, l’ho capito proprio ora, scrivendo questo blog. Questa frase l’ho sentita sempre da persone che passano una vita standard. La vita standard è quella che viviamo tutti, imposta da non si sa chi, accettata perchè giusta a priori. La vita standard è studiare, lavorare, all’età di 30/35 anni fare figli, avere casa con cane e giardino e continuare a lavorare e spaccarti la schiena per poterti permettere la casa, il giardino e i figli. Lavorare per permettere ai figli di entrare nella vita standard, cercando di non far mai mancare nulla di materiale (cellulare ultima generazione, vestiti ultima moda, le ultime scarpe da calcio). I valori quelli che non si toccano che non sono fatti di mattoni, carta, plastica, quelli non valgono più. A volte addirittura si insegna che a fare i furbi si “guadagna” di più: un bimbo che gioca a calcio e a cui viene insegnato di cadere a terra se un giocatore avversario lo tocca. Viene insegnato che mancare di rispetto va bene: la maestra mette in punizione un bimbo che ha fatto una cosa sbagliata e i genitori insorgono contro la maestra.
Purtroppo entrare nel meccanismo della vita standard è semplice, ci si entra appena si viene al mondo. Io stessa ero da vita standard, ero la perfetta vita standard. Ora sto cercando di resettare la mia vita e, piano piano uscire da questo meccanismo. Il complicato di questo processo? Ti senti quasi sbagliato nei confronti degli altri, senti che pensi cose che la maggior parte di persone o non pensa o è riuscita a mettere il silenzioso a questi pensieri. Sentirsi giudicato, diverso, visto come strano o peggio come uno che non vuole fare niente nella vita che non ha obiettivi, non ha futuro.
Io, invece, un obiettivo ce l’ho: tempo scandito da emozioni, esperienze e non dall’orologio tiranno.
